L’intero centro urbano di Atella era ubicato sull’importante asse viario Lapopesole-Melfi, ove in entrambi esistevano altri due castelli medioevali, quindi definiti “punti chiave” per il controllo strategico del Vulture-Melfese.
All’epoca degli angioini il Castello, come l’imponente Cinta muraria e come il Duomo, esse svolgevo, all’epoca, funzione vitale di difesa e controllo di un’area, infatti su di esse si investirono le migliori risorse e le maestranze di maggior arte.
Il Castello Angioino si trova a destra della Porta di Ingresso (Porta Melfi), in cima alla salita, detta Salita Castello “ed è così riportato nel catasto sotto l’articolo 1377 Torella ex Principe” (tratto da – Storia Sociale di Atella, Narrata ai giovani di Benedetto Carlucci). Oggi dell’antico Castello rimane solo lo “mastio” detta Torre Angioina, di foggia simile a quella del Castello Angioino di Napoli.
Si tratta dell’elemento centrale, resistito agli assedi ed al terremoto del 1694, che abbatté il poderoso CASTELLO. Giustino Fortunato a fine ‘800 volle rilevare la pianta dell’intero castello, servendosi delle fondazioni affioranti.
La fortezza, era di pianta quadrata con ingresso monumentale rivolto verso il Nord, era dotata di quattro torri laterali di guardia e circondato da un profondo fossato, resistette ai due lungi assedi del 1361 e del 1496. Si parla che detto Castello avesse dei cunicoli sotterranei, ma alcuni di questi impraticabili a causa del crollo delle volte oltre ad una fantomatica galleria che serviva per collegare il Castello di Atella a quello di Lagopesole. All’interno dell’attuale acropoli è presente una edicoletta (pozzo d’acqua), questa, come il muro perimetrale fuori dal fossato e della vigna (ormai smantellata) vennero edificate dai Saraceno, vecchi proprietari della fortezza.
Insomma di fondamentale importanza il risultato raggiunto in questi anni, con il completamento della Torre Angioina nel 2013 e ulteriori bandi nazionali candidati per provare ad avverare il sogno degli atellani di continuare a parlarne, “ripopolandosi di figure di belle castellane, di valorosi capitani, di arditi cavalieri montanti destrieri dalle stimmate gualdrappe, di soldati con le maglie e coi morioni, provenienti da un tempo che nessun terremoto riuscirà mai a cancellare – Michele Saraceno”.
Per avere un’idea della sua effettiva consistenza è interessante leggere la seguente descrizione dei primi del Seicento, precedente al citato terremoto: “Avanti che si entra in detto Castello quale è monito di fossi con quattro torrioni intorno, se ritrova un largo detto la Città della murata et si entra da un ponte di tavole ad levatore sopra il quale vi è una porta con le arme del detto signor Principe et caminando se ritrova un’altra porta con lo guardaporta con cortiglio et due cisterne atte ad tenere acque et in piano di detto Cortiglio una cocina grande con furno con una dispensa et saglituro che serve per portare le vivande coperte sopra il Castello, con stalla grandissima con li balausti intorno vi è un’altra stalla appresso in piano doi lochi da tenere paglia et nel medesimo cortiglio da un altro lato se ritrovano un cellaro et tre altre stantie terranee in una de quale v’è un forno grande per cocere il pane et un’altra porta dalla quale si va alla Cità della proPonte et sagliendo per una grada se ritrova una logietta coverta da dove si entra in un salone et una cappella in piano di detto salone, et da uno braccio se ritrovano quattro camere in piano et in fronte del detto salone un’altra camera ad lambia dintro un di detti torrioni, da un altro lato di detto salone se ritrova uno cammarone in capo dello quale vi è una cammaretta et appresso seque un’altra sala la quale serve per l’altro habitamento et seguitando detta sala se ritrovano sette altre camere in piano…”